Shibumi.

Se si dovesse esprimere con una sola parola il concetto di Shibumi si potrebbe scegliere: sobrietà.

Shibumi è un termine giapponese entrato in uso durante il Periodo Edo (1603-1867) per indicare il concetto estetico di bellezza che siamo soliti associare alla semplicità di un giardino Zen o alle forme armoniose di un manufatto particolarmente essenziale ed elegante.

Letteralmente Shibumi significa astringenza, come la caratteristica del sapore di un frutto acerbo, o di un vino giovane che deve essere affinato in botte affinché le sue componenti tanniche si ammorbidiscano. Ciò rimanda ad un ideale di bellezza grezza, ruvida, la cui nobiltà deriva dalla sobrietà e dalla semplicità, che si collegano con i concetti di austerità, frugalità, riservatezza.

Shibumi è semplicità eleganza sobrietà .

L’idea di Shibumi è associata alla bellezza non appariscente, quella che deriva appunto dall’essenzialità delle forme, dei colori, dei materiali. Shibumi è un sottile equilibrio che si ottiene mediante una ricerca della semplicità, intesa come ciò che è essenziale, senza eccessi di sorta, e pertanto assolutamente notevole.

Nelle arti del movimento ciò si traduce con una gestualità elegante ed essenziale, in cui ogni piccolo dettaglio contribuisce all’insieme armonizzandosi perfettamente con tutto il resto e con ciò che circonda.

La calma che pervade lo spirito mentre si contempla un esempio di imperfetta armonia, dalle linee scarne, come quello delle onde di ghiaia in un giardino Zen, è un esempio lampante di ciò che lo spirito dello Shibumi incarna.

Ed il Karate, con quel suo essere “vuoto” cui lo stesso nome si riferisce, è l’esempio perfetto dell’essenza Shibumi.

Shibumi non è qualcosa che si possa imparare, bensì piuttosto qualcosa che è necessario riscoprire in se stessi. Si tratta perciò di un viaggio, o se si preferisce un cammino (Do), all’interno del proprio animo, alla ricerca di ciò che realmente conta, dell’essenza delle cose.

SHIBUMI SECONDO TREVANIAN

Ecco la descrizione di Shibumi tratta dall’omonimo romanzo di Trevanian, pseudonimo dello scrittore britannico Rodney William Whitaker (1931 – 2005), edito in Italia col titolo “Il Ritorno delle Gru” (Bompiani Milano, 1980 ISBN 8845252159).

[…] «Anche se, forse, a volte troverai piuttosto sconcertante il modo di esprimersi del mio amico. Otake-san parla di ogni cosa in termini di Go. Tutta la vita, per lui, è un paradigma semplificato di questo gioco.»

«Da come lei lo descrive, signore, penso proprio che mi piacerà.»

«Ne sono sicuro. È un uomo che ha tutto il mio rispetto. Possiede una sorta di… come dire?… di shibumi

«Shibumi, signore?» Nicholai conosceva questa parola, ma solo nella sua applicazione ai giardini o all’architettura, dove aveva il significato di bellezza poco appariscente. «In che senso usa questa parola signore?»

«Oh, vagamente. E scorrettamente sospetto. Un goffo tentativo di descrivere una qualità ineffabile. Come sai, shibumi allude a una grande raffinatezza sotto apparenze comuni. È un’affermazione così precisa che non ha bisogno di essere ardita, così acuta che non dev’essere bella, così vera che non deve essere reale. Shibumi è comprensione più che conoscenza. Silenzio eloquente. Nel modo di comportarsi, è modestia senza pruderie. Nell’arte, dove lo spirito di shibumi prende la forma di sabi, è elegante semplicità, articolata brevità. Nella filosofia, dove shibumi emerge come wabi, è una serenità spirituale non passiva; l’essere senza l’angoscia del divenire. E nella personalità di un uomo, è… come dire? Autorità senza dominio? Qualcosa del genere.»

L’immaginazione di Nicholai rimase galvanizzata dal concetto di shibumi. Nessun altro ideale lo aveva mai tanto commosso. «Come si raggiunge questo shibumi, signore?»

«Non lo si raggiunge, lo si… scopre. E solo pochi uomini d’infinita raffinatezza arrivano a scoprirlo. Uomini come il mio amico Otake-san.»

«Vuol dire che bisogna imparare un mucchio di cose per essere shibumi?»

«Vuol dire, caso mai, che bisogna passare attraverso la sapienza e arrivare alla semplicità.»

Da quel momento, l’obiettivo primario di Nicholai fu quello di diventare un uomo di shibumi […]

«La bellezza persuade in se stessa gli occhi degli uomini,
senza necessità di alcun interprete.»

William Shakespeare